La demenza non si chiama più demenza senile, non colpisce più solo le persone anziane, ma si chiama semplicemente demenza, perché si manifesta sempre più precocemente già in persone dai 30 anni in su, ci vogliono dai 10 ai 20 anni prima che si manifesti realmente come malattia, ecco perchè è fondamentale per tutti noi conoscere un po’ di più sul tema, imparare come possiamo allontanare questo spettro da noi stessi, dai nostri cari e da chiunque conosciamo, magari solamente acquisendo stili di vita sani.
La demenza più comune è l’Alzheimer, una patologia che devasta profondamente, che fa perdere la capacità di pensare, di ricordare, di comunicare, di condurre la nostra vita così come la conosciamo, fa soffrire la persona affetta e chi gli sta vicino.
I sintomi più comuni sono:
- Difficoltà a trovare le parole e non riuscire a ricordarle, difficoltà di comunicazione, cioè quando parlate ad una persona affetta da tale demenza, questa non pone attenzione o fate domande e vi risponde dopo 3 minuti, perché ha difficoltà a trovare le risposte da dare. (La difficoltà a trovare le parole o non ricordare può succedere anche per altre motivazioni più semplici, per esempio se non abbiamo dormito a sufficienza, per carenza di B12, ma tutto ciò non è legato all’Alzheimer).
- Perdita di orientamento
- Perdita di olfatto
- Stitichezza, è molto interessante vedere la forte connessione tra cervello ed intestini.
- Cambio di personalità viene completamente alterata.
- Cambio di umore dato a volte dalla frustrazione stessa del non riuscire a formulare certe parole o dal non ricordare certe cose, correggere una persona in questo stato, può far peggiorare la situazione.
- Perdita di memoria recente.
- Difficolta a risolvere problemi.
- Perdita di presenza se li guardate negli occhi noterete che non ci sono, ma sono con la mente da qualche altra parte.
- Continuano a ripetere gli stessi pensieri senza accorgersi che stanno ripetendosi, meglio non fateglielo notare e continuate la conversazione su qualche altra cosa.
Una ricerca effettuata nel 2016 sullo sviluppo dell’Alzheimer nelle persone, dava come causa le placche amiloidi presenti nel nostro cervello, ossia formazioni extracellulari costituite da una parte centrale in cui si accumula la proteina amiloide e una parte periferica in cui si depositano detriti neuronali.
Molti studi successivi si sono basati su questa ricerca, provando a sciogliere queste placche amiloidi in animali con demenza, ma senza riscontrare particolari benefici, inoltre è stato anche evidenziato che alcuni pazienti con placche amiloidi non soffrivano di Alzheimer, sembra perciò che questa teoria non sia corretta.
Se non altro diciamo che questa teoria, non ha mai trovato una vera strada per affermarsi, soprattutto non ha portato risultati che aiutassero le persone affette dall’Alzheimer.
Cosa conosciamo riguardo agli effetti dell’Alzheimer?
- Il cervello si restringe iniziando dall’ippocampo.
- Sappiamo anche che le persone che manifestano l’Alzheimer sono sempre più giovani, ormai già persone di 45anni, ma anche alcuni di 30 anni ne soffrono.
- Altra cosa, si è vista una correlazione tra iperinsulinemia, insulina resistenza e Alzheimer
- Trattare le placche amiloidi non porta a risultati.
Nuove ricerche stanno portando speranza nel contrastare la malattia, una nuova teoria alternativa, definisce che la causa dell’Alzheimer sia dovuta a un problema di immagazzinamento del lisosoma.
Questi piccoli lisosomi sono le centrali di smaltimento dei rifiuti delle nostre cellule, al loro interno contengono enzimi in grado di distruggere i materiali da riciclare riducendoli nei loro elementi essenziali, utilizzati poi per costruire nuove componenti, facendo in modo che il corpo possa essere veramente efficiente e in grado di rinnovare o creare nuove cellule , tutto questo processo viene chiamato autofagia ed è una condizione in cui il corpo si ricicla.
Come detto questi organuli si occupano dello smaltimento dei rifiuti all’interno delle nostre cellule, ma nell’Alzheimer questa parte della cellula diventa disfunzionale, cioè le cellule non riescono a eliminare i rifiuti.
Provate ad immaginare se dentro le nostre case, non riusciste più ad eliminare l’immondizia, la vostra casa diventerebbe un luogo invivibile e questo è ciò che accade anche ai nostri neuroni.
Ci sono studi che legano l’Alzheimer ai problemi di autofagia?
Sì, ci sono diversi studi che mostrano questo legame, ma ciò che è interessante è vedere che lo strumento più potente per stimolare l’autofagia è il digiuno e ci sono molte ricerche che evidenziano che il digiuno migliora l’Alzheimer.
Cosa possiamo fare in maniera naturale per migliorare la funzione dei lisosomi e dell’autofagia?
Dobbiamo abbassare il glucosio ciò significa abbassare l’introduzione di carboidrati e evitare gli zuccheri (una dieta Chetogena sarebbe ottimale) attraverso ciò abbiamo la possibilità di stimolare l’autofagia.
Un effetto potente lo abbiamo attraverso il digiuno intermittente alternato a lunghi digiuni.
Secondo alcune ricerche curcumina, estratto di tè verde e altre erbe sono benefiche nell’attivare sia i lisosomi che l’autofagia.
Gli omega 3 hanno un effetto sull’autofagia.
Acidi a catena corta, ossia metaboliti batterici che svolgono un ruolo importante nel circuito comunicativo tra cervello e intestino, stimolano l’autofagia.
L’esercizio fisico è un modo significativo per indurre l’autofagia.
Il sonno è un forte attivatore dell’autofagia.
Preferire le crucifere nelle nostre tavole.
Usare l’olio extravergine di oliva.
Usare la terapia del caldo e del freddo.
Geni e Alzheimer
Ormai esistono molti test genetici per conoscere a quali mutazioni sono soggetti i nostri geni, tali test non indicano che avremo una specifica malattia, ma solo che abbiamo una debolezza in alcuni particolari geni ed essendone consapevoli possiamo intervenire e prevenire. Se ad esempio abbiamo problemi con i geni che sono connessi con la demenza/Alzheimer, é bene sapere che ci sono azioni che possono aiutarci a controllare i nostri geni.
Che cosa possiamo fare adesso?
Cambiare la sorgente di energia da zuccheri a chetoni, il cervello ama i chetoni! Digiuni di almeno 15h ci permettono di iniziare a produrre chetoni, unendo a ciò una dieta a basso contenuto di carboidrati, possiamo tenere stabili i livelli di zucchero nel sangue, entrambe le cose si potenzieranno ed il corpo continuerà a funzionare a chetoni dando supporto al nostro cervello, aiutandolo a ripararsi, a migliorare le connessioni neuronali. Portando nutrimento a questi neuroni affamati, noteremo un immediato miglioramento delle loro funzioni.
Sarà importante indurre l’autofagia, condizione che spinge le cellule a fare pulizia dentro se stesse, riciclando i rifiuti e le proteine danneggiate, per fare ciò la via più potente sono digiuni di almeno 18h, meglio se alternati a digiuni più lunghi accompagnati da una dieta chetogena.
Integrazione di omega 3 attraverso la dieta o con integratori, ma facendo attenzione alla qualità, perché vogliamo evitare di introdurre metalli pesanti.
Ridurre i metalli pesanti scegliendo una dieta pulita, filtrando l’acqua che beviamo, evitando di prendere integratori sintetici che contengano la qualità di ferro sbagliata, (meglio prendere supplementi che si basano come origine da cibo o erbe).
Ci sono geni che hanno problemi con la metilazione. La metilazione del DNA è un meccanismo che, tramite il trasporto di sostanze, consente alle cellule di regolare l’espressione genetica e perciò di controllare i processi che sono alla base della vita. In questo caso sarà bene integrare un buon quantitativo di B12 e folati in forma naturale, perché migliorano la metilazione. Se non abbiamo una buona metilazione tenderemo ad accumulare metalli pesanti.
Ci sono molte medicine che come effetto collaterale creano perdita di memoria, sotto guida medica evitare quelle non strettamente necessarie.
Hericium erinaceus è un fungo medicinale anche noto come fungo della criniera di leone, fungo che ha proprietà rigenerative, molte persone con Alzheimer riferiscono immensi benefici attraverso l’uso di questo fungo, é stato anche dimostrato che estratti dal suo corpo fruttifero possiedono proprietà antiossidanti, antidiabetiche, antitumorali, antinfiammatorie, antimicrobiche, ipoglicemizzanti e proprietà ipolipidemiche.
Ci sono alcune vitamine che hanno un effetto diretto sui geni come la vitamina A (retinolo), la vitamina D che aiuta a ridurre l’infiammazione nel nostro cervello, la B1 soprattutto in forma naturale è tra le vitamine più importanti per l’ippocampo, la prima parte del cervello che viene danneggiata in caso di Alzheimer; la vitamina C naturale, spesso i pazienti affetti da Alzheimer ne sono carenti, la vitamina E molto importante per quelle parti del cervello legate alla memoria e la vitamina K1 che troviamo in abbondanza nelle verdure a foglia verde scuro.
Come esseri umani ci stiamo sempre più allontanando dalla natura e dal suo equilibrio, non rispettandola non rispettiamo più noi stessi che siamo parte di essa, dobbiamo solo riscoprire che bastano pochi passi nella giusta direzione per ritrovare gioia, unione e guarigione.
La natura come madre amorevole è pronta ad accoglierci, dipende solo da noi fare lo sforzo di invertire la marcia e cominciare a volerci bene davvero.
Il digiuno, un’alimentazione equilibrata e ricca di principi nutritivi, l’altruismo, il senso di unione con gli altri, ma soprattutto con qualcosa di più grande, sono la vera svolta, l’unica direzione.
Insieme è più facile anche se a volte sembra più complicato!
Link utili
Risultati che supportano il concetto che il coinvolgimento dei sistemi immunologici può essere importante nella patogenesi della malattia di Alzheimer.
La causa principale del morbo di Alzheimer e come PREVENIRE il declino cognitivo
La potenziale bomba di fabbricazione della ricerca minaccia la teoria dell’amiloide del morbo di Alzheimer
Esplorare la relazione bidirezionale tra autofagia e malattia di Alzheimer
Autofagia e malattia di Alzheimer